domenica 9 novembre 2008

La cronaca dei 42 km della NYC Marathon


L'avevo promesso e, come si suol dire, ogni promessa è debito: eccomi qui dunque a raccontare qualche dettaglio in più della corsa di Domenica. Sono passati 7 giorni e ora, con un po' più di serenità e di tranquillità, si possono tirare un po' di somme e fare un bilancio "tecnico" della trasferta newyorkese.


Che era cominciata, come avete letto in un post di qualche giorno fa, con alcune ambizioni: "M'affascina il 3 davanti al tempo finale", "Dopo 10 km valuterò come sto e deciderò su che ritmi impostare la restante parte di gara"... Balle, tutte balle.


Si parte pensando di poter gestire la gara come se fosse perfettamente controllabile, ma si scopre sulla propria pelle che la prima maratona non puoi gestirla per niente perché ci sono fattori che vanno oltre le proprie possibilità di controllo. Quali?


Beh, innanzitutto la tensione. Eravamo a New York per correre la prima Maratona della nostra vita e avevamo caricato l'appuntamento di aspettative e attese notevoli: io mi sono scoperto una tensione particolare dovuta alla paura di non farcela, di fallire qualcosa o che qualcosa potesse andare storto. Ricordo addirittura che la mattina della gara, uscendo dalla stanza dell'hotel, ho messo male il piede sul gradino in discesa che separava la nostra stanza dal corridoio e ho rischiato di subire una distorsione. Non mi sono fatto nulla, ma il pensiero mi è rimasto in testa per più di un'ora, cosa che in condizioni normali non sarebbe mai successo.


Poi la carica emotiva. Sei a New York per correre la prima Maratona della tua vita e vuoi non avere un po' di gambe molli per l'emozione? La notte prima della gara ho dormito solo 3 ore non perché non ce ne sia stato il tempo, ma perché ho impiegato quasi 3 ore ad addormentarmi.


Infine la stanchezza. Come ho detto a qualcuno prima di partire, ero molto stanco mentalmente per una concomitanza di un periodo lavorativo non facile e di un momento in cui stavo vivendo la corsa non come un piacere, ma come un compito da assolvere in prospettiva NY, cosa che non mi ha aiutato a partire sereno e motivato. In più c'era la stanchezza fisica dovuta ai preparativi per la partenza e ai due giorni precedenti in cui si è dormito poco anche a causa del jet lag.


Inoltre, per quanto si possa in qualche modo impostare un ritmo in linea con le proprie aspettative, ci sono poi fattori che non avevo considerato con la sufficiente attenzione e che avevo, in definitiva, sottovalutato.


  1. La lunghezza del percorso: può sembrare paradossale, ma non lo è. Affrontavo 42 km per la prima volta, avendo fatto diversi allenamenti tra 33 e 36 km ma mai avendo raggiunto quella distanza. C'era quindi un po' di inquietudine nel non sapere come avrei reagito oltre la distanza raggiunta in allenamento e oltre il "fatidico muro dei 30 km" dove, anche a detta del Dr. Speciani che ci aveva intrattenuto durante il briefing tecnico del giorno prima, si esauriscono le scorte di glicogeno (gli zuccheri immagazzinati nei muscoli) e occorre quindi far ricorso alle scorte di grassi.


  2. La durezza del percorso: Speciani l'aveva detto il giorno prima e l'avevo anche letto più volte su diversi siti web, ma evidentemente non con la necessaria attenzione. "New York è una maratona durissima perché è praticamente tutta in salita". Per quanto questa affermazione sia un'esagerazione, occorre dire che le salite ammontano a più di 10 km di percorso e non altrettanti sono le discese. Si parte in salita per 1,6 km (Verrazzano Bridge) e si devono poi affrontare altri 4 ponti/cavalcavia tra cui il più duro è decisamente il Queensboro (al 26° km) con una salita di 1,5 km che sembra interminabile a causa del fatto che si corre sulla carreggiata coperta e il tetto crea una prospettiva distorta della pendenza del percorso. Ma non è finita: la 1st Avenue (dal 27° al 33° km) è un continuo saliscendi mentre il tratto di 5th Avenue che si percorre prima di entrare in Central Park (dal km 34 al 38) è in leggera ma costante salita. Insomma, non è certo una maratona "filante".

  3. Il contesto del percorso: New York è famosa non solo per il fatto che si svolge in una delle città turisticamene più ambite al mondo, ma perché lo straordinario contorno di pubblico e il folklore che si incontrano per le strade ti distraggono e non ti permettono di concentrarti sulla gara e sull'obiettivo di tempo che hai in testa.

Insomma, col senno di poi le mie aspettative erano un tantino esagerate.


Detto questo, ecco una cronaca della giornata e della gara.

Sveglia alle 4,30, colazione in stanza a base di marmellata, bagel, barrette energetiche, banane, etc.. Vestizione accurata e preparazione di tutti gli accessori (macchine fotografiche, videocamere, tabelle, etc.). Il pullman del Tour Operator è arrivato alle 5,45 e ci ha depositati a Fort Wadsworth alle 6,20. Temperatura polare, vento gelido che spirava dall'Atlantico e quindi, dopo esserci ambientati, ci siamo infilati le tute in Tyvek gentilmente procurate da Goby. Alle 9,30, dopo aver depositato i nostri sacchi sui camioncini dell'organizzazione, abbiamo iniziato a scaldarci e a fare un po' di stretching. Il sole, nel frattempo, aveva fatto capolino, ma la temperatura rimaneva molto bassa. Ci siamo quindi tenuti degli indumenti per proteggerci dal freddo sapendo che li avremmo gettati dopo la partenza.


Partenza alle 10,20 nella Wave 3 ma abbiamo varcato la linea di partenza circa 12 min. dopo. Avevo nella tasca del marsupio in cui tenevo anche la videocamera e il cellulare un foglietto piegato con la tabella dei passaggi ai singoli km per raggiungere il tempo di 4 ore in cui avevo impostato il 1° km a 6'20"/km (salita del Verrazzano) e i successivi 2 a 6'00"/km. Fino al 9° km il passo doveva essere 5'50"/km, dal 10° al 24° 5'45"/km per poi scendere a 5'40" fino al 35° e a 5'30" dal km 36 al 40 con uno sprint finale di 2 km a circa 5'15".


Primi km in media. Dopo aver "mollato" già sul Verrazzano Roby che voleva impostare la maratona ai suoi (particolari) ritmi, Fave e io passiamo i 5 km in 30'05", 15 s sopra l'obiettivo e i 10 km in 59'25" contro i 58'50" del piano. Il ritmo era comunque buono, intorno ai 5'50"/km ma sopra il passo pianificato. Ai 20 km avevamo 2'20" di ritardo rispetto al piano ma personalmente stavo bene e non stavo soffrendo. Il passaggio alla mezza avviene su un ponte con una salita lunga circa 800 m ma molto secca e difficile perché le gambe cominciano a risentire dei km già percorsi. A quel punto il ritardo sulla tabella delle 4h era di 3'05". Malgrado mi stessi rendendo conto del fatto che l'obiettivo stava allontanandosi, stavo bene e contavo di poter accelerare nel finale e recuperare il ritardo accumulato che ai 25 km era salito a 4'.


Lo spettacolo intorno era quanto di meglio si potesse desiderare: fin dalla fine del Verrazzano Bridge, entrando a Brooklyn, avevamo capito cosa voglia dire la Maratona di NY e perché sia così famosa: il bordo delle strade brulicava di gente assiepata sui marciapiedi e pronta a incitare i partecipanti urlandone il nome, dando high five, offrendo da mangiare e da bere, oppure semplicemente applaudendo e urlando "Go, runners, go!!!". Fino al 25° km ho contato più di 100 band che suonavano per strada, dal gruppo heavy-metal al coro gospel passando per i rapper o gli hip-hopper e i cantanti folk che, con la loro chitarra, si esibivano sul bordo della strada con sistemi di amplificazione improvvisati.


Una menzione a parte meritano i bambini: numerosissimi, coloratissimi, sorridenti, pronti a urlare il nome o a dare il 5 in sequenza ai maratoneti che passavano sul bordo della strada. Davvero uno spettacolo nello spettacolo.


La cosa curiosa è che, attraversando Brooklyn e il Queens da Sud a Nord lungo la 4th Avenue (lunga circa 9 km), si incontrano quartieri popolati da comunità etniche diverse: prima gli afro-americani, poi gli ispano-americani, poi quelli che apparivano come europei (probabilmente irlandesi e italiani), tutti festanti e urlanti, poi gli ebrei-ortodossi nel loro quartiere dove invece non c'era nessuno ai bordi delle strade e dove regnava, in totale contrasto con una o due street prima, un totale silenzio.


Intorno al 26° km penso di poter collocare la svolta: avevo portato con me la videocamera e il cellulare che avevo messo dentro il marsupio perché volevo fare ogni tanto delle riprese. E in effetti avevo filmato qualcosa sia in partenza sia in un altro paio di occasioni. Al passaggio alla Mezza mi ero accorto che la batteria mi aveva abbandonato e avevo quindi deciso di non utilizzare la videocamera se non fino all'arrivo, ammesso che la batteria, come a volte succede, avesse recuperato un barlume di carica. Per non avere fastidio avevo girato il marsupio sulla schiena e l'avevo serrato notevolmente per non sentirlo sballottare, ma evidentemente l'avevo tirato troppo. All'uscita dal Queensboro (km 26) ho cominciato a sentire un po' di dolori di pancia che diventavano sempre più persistenti e fastidiosi. Ero disturbato dal fatto di non riuscire a trovare una soluzione: se allentavo il marsupio mi dava fastidio il suo sballonzolare, se lo tiravo sentivo i dolori alla pancia... Insomma, questo fastidio unito al fatto che la 1st Avenue con i suoi 8 km mi si parava davanti a perdita d'occhio mi hanno fatto venir paura di non farcela e le gambe, evidentemente, non hanno più risposto come avrebbero dovuto... Ho cominciato a sentire freddo e a percepire che le gambe non spingevano più come prima e ho dovuto rallentare per non rischiare di uscire in anticipo.


Ho detto a Fave di andare: stava bene, continuava a prendermi qualche secondo e facevo fatica a tenere il suo ritmo. Ci siamo salutati intorno al km 29, sulla 1st Avenue. L'ho visto scomparire tra la folla che correva davanti a me e, in quel momento, l'ho un po' invidiato...


Ho proseguito a ritmo più lento, intorno ai 6'30"/km: la 1st Avenue, interminabile con i suoi 8 km complessivi, ha lasciato il posto a un ulteriore ponte (il Willis Bridge) che immette nel Bronx, dove la Maratona transita velocemente, per meno di 2 km, quasi a voler evitare il quartiere che, più degli altri, gode di una fama non proprio rispettabile.


Dopo il Bronx e le sue comunità afro- e ispano-americane (anche qui festanti e urlanti), il percorso, dopo un altro ponte, rientra a Manhattan, ultimo borough della corsa. E lo fa dalla porta principale: ci si immette subito sulla 5th Avenue, nel suo tratto iniziale che transita ad Harlem. Sapevo che non l'avremmo più lasciata, ma non sospettavo che potesse essere così dura: prima di immettersi in Central Park per gli ultimi 3,5 km, il percorso è di circa 5 km tutto sulla 5th Avenue, e tutto in salita. Non è una salita ripida, ma essendo costante e continua e venendo dopo 35 km, spacca davvero le gambe, già ormai provate per lo sforzo precedente.


Ho davvero dovuto far ricorso a tutte le energie mentali disponibili per cercare di non pensare ai km mancanti e lasciandomi invece cullare dallo spettacolo di gente che ancora, imperterrita, urlava il nome dei partecipanti: "Go, Stefàno, go!!!" "You're looking good!!!" "Stefàno, you almost did it!!!" e così via, in un incessante frastuono fatto di urla, di musica...


Gli ultimi 3,5 km sono invece quasi completamente all'interno di Central Park, dove si entra attraverso un ingresso dal nome familiare, Engineers' Gate. Da lì in avanti il percorso è un continuo saliscendi dovuto alle formazioni di scisto che spesso affiorano in superficie e la folla diventa sempre più vociante e sempre più urla frasi del tipo "Stefàno, only 2 miles left from the glory!!!" "Stefàno, don't give up now!!!" (e chi molla? non ci penso neppure...!).


L'uscita su Central Park South (59th street) è la conferma che ormai si è arrivati: a quel punto manca solo 1 km e mezzo e l'arrivo è solo questione di minuti. Ho mantenuto un ritmo costante intorno ai 6'30"/km che mi dava sicurezza e mi sono ributtato nell'ultimo pezzo di Central Park entrandovi da Columbus Circle, dove tra l'altro c'era uno schermo gigante che riprendeva la parata multicolore dei partecipanti.


Il passaggio al miglio 26, circa 300 m dall'arrivo, non me lo ricordo: evidentemente la mia mente era ormai così proiettata all'arrivo che non mi sono accorto dell'enorme striscione arancione appeso al di sopra delle nostre teste.


L'arrivo è l'apoteosi: sono passato dall'arcata centrale, dove ho anche dato un 5 fortissimo a un addetto dell'organizzazione che stazionava a pochi metri dal traguardo.


Subito dopo l'arrivo a braccia alzate sono scoppiato a piangere come un bambino: probabilmente la tensione unita alla stanchezza, al fatto di essere finalmente arrivato dopo tanta fatica e al fatto di aver visto tante volte in foto quel posto dove in quel momento ero hanno giocato un brutto scherzo...


Dopo alcuni metri dall'arrivo ti mettono al collo la medaglia non facendoti mancare un incoraggiamento: "Good job, congratulations!" e poi, in rapida successione, ti consegnano la mitica coperta di alluminio che dovrebbe proteggere dal freddo ma che in realtà non serve quasi a nulla. Successivamente vieni rifocillato a base di Gatorade e di barrette energetiche Snickers. Poi, lentamente e sempre camminando, ci si dirige verso il camioncino dove, prima della partenza, si è depositato il proprio sacco degli indumenti. Il mio era stato trasportato, insieme a quelli dei pettorali da 48.000 a 48.999, su un camioncino che sostava a circa 2 km dopo l'arrivo.


Dopo circa 5 minuti dall'arrivo ho sentito una voce familiare "Coro...": era Fave che, arrivato 12 min prima di me, si era fermato lungo le transenne dopo la finish line. "Coro, cazzarola come sto male, ho bevuto un Gatorade freddo che mi ha schiantato lo stomaco...". Era effettivamente pallido e non particolarmente in forma. Ci siamo abbracciati e poi incamminati insieme verso i camioncini. L'ho visto riprendersi pian piano e ci siamo lasciati davanti al mio camioncino (il suo era 1 km più avanti...)


Sudato, infreddolito perché a Central Park il sole era già tramontato a causa degli alti edifici intorno, sono arrivato al camioncino che già battevo i denti. Lì una sosta interminabile di circa 40 minuti perché i sacchi erano inspiegabilmete stati mischiati e non erano più in ordine, unica pecca in un'organizzazione per il resto perfetta.


Se non ho preso una broncopolmonite in quel momento non la prendo mai più: avevo un freddo cane, battevo i denti come se fossi stato nudo al Polo Nord, ero stanco, non vedevo l'ora di coprirmi...


Il resto è cronaca del dopo: ho chiamato casa dove sapevano già tutto avendo attivato il sistema Fan Alert e dove mi ha risposto Sara che urlava come una matta...


Poi abbiamo aspettato Roby che è arrivato circa un'ora dopo di me e, dopo aver restituito il chip all'organizzazione, siamo usciti da Central Park per andare a prendere il pullman del Tour Operator che sostava all'altezza dell'81a strada, a circa 4 km dall'arrivo...


Poiché il nostro programma di viaggio era quello da "pezzenti" non prevedeva il rientro in albergo col pullman. Arrivati davanti al Roosevelt Hotel dove sono scesi tutti gli altri, da bravi Italiani abbiamo tentato di convincere l'autista a portarci in hotel per non dover prendere la metropolitana. "No way, you have to get off here!" è stata la sua seccata risposta... Siamo quindi andati a prendere la metropolitana alla Grand Central Station dove chiunque ci incontrava, vedendoci la medaglia al collo, ci faceva i complimenti dandoci anche una pacca sulla spalla: "Good job! Congratulations! How many miles did you run? 26? Oh my God, what a run...!!!" e così via in un susseguirsi di brevi conversazioni di questo tipo.


Siamo arrivati in hotel che erano le 18,30 e ci siamo subito buttati sul letto perché le gambe cominciavano a irrigidirsi. Abbiamo però rinunciato alla tentazione di piombare subito a dormire e, dopo aver fatto la doccia, siamo usciti e abbiamo terminato la giornata in un Burger King sulla 34th street, dove ci siamo sparati un Double Hopper che faceva paura tanto era grosso e pesante...


Beh, ritengo di aver scritto abbastanza: in realtà non l'ho fatto solo per chi poi si dovesse trovare a leggere la cronaca, l'ho fatto anche per me, per avere la possibilità di ripescare i ricordi dalla memoria fra qualche tempo. Rimarranno qui sul blog, scritti a imperitura memoria e chissà che un giorno non ci ritroveremo a rivivere un'altra NYC Marathon e questa cronaca non ci possa servire...


Scusate per la lunghezza del post, d'altronde ncessaria per raccontare anche solo una minima parte delle emozioni vissute.


A presto, con altre sfide.


Ciao, Stefano.



1 commento:

foia ha detto...

Anche se con leggero ritardo, vi faccio i miei complimenti per questa impresa. Dev'essere stato molto bello condividere tutta l'avventura tra di voi.

Alla prossima,
Francesco